SUL CONFINE DEL MONDO DI MEZZO/ON THE BORDER OF THE MIDDLE WORLD

In tutta la sua opera Dostoevskij ha declinato assieme la parola “bellezza” e la parola “orrore”.
Il principe Myškin abita un “mondo di mezzo”.
Per il cavaliere povero il carattere della bellezza rimane ambiguo e si nutre di mescolanza. Egli arriverà a confondere la bellezza con la sua malattia sino all’estremo limite in cui l’attimo, che precede l’attacco epilettico, “si rivela come armonia e bellezza”, come “estatica e mistica fusione con la suprema sintesi della vita”, che si accompagna però “con un irriducibile terrore”.
Per Dostoevskij questa bellezza è scandalosa e sconveniente.
Per lui racchiuderla in una soluzione estetizzante è sacrilegio ed oscenità.
Scriverà René Girard : “Crearsi per Dostoevskij significa uccidere il vecchio uomo prigioniero di forme estetiche, psicologiche e spirituali che restringono il suo orizzonte di uomo e di scrittore”.
Anche in Dostoevskij c’è il passaggio di una soglia, di una fase che viene portata a consumazione attraverso questa “uccisione” e dalla quale si può rinascere con una nuova modalità di approccio alla realtà.

In all his work Dostoyevsky coupled the words “beauty” and “horror”.
Prince Myshkin lives in a “middle world”.
For the poor knight, beauty’s character remains ambiguous and it feeds on blending. He was to confuse beauty with his illness to the point that the moment leading up to an epileptic attack “was revealed as harmony and beauty”, as “an ecstatic and mystic fusion with the supreme synthesis of life”; this, though, was accompanied by “invincible terror”.
For Dostoyevsky this beauty was scandalous and unseemly.
For him, to reduce it to an aesthetic question was sacrilegious and obscene..
René Girard has written that “For Dostoyevsky creation meant killing the old man who was a prisoner of aesthetic, psychological, and spiritual forms that shrink his horizon as a man and a writer”.
In Dostoyevsky too there is a passage over a threshold, a phase that is brought to fruition through this “murder” and from which it is possible to be reborn with a new approach to reality.

In questo è possibile intravvedere la necessità di un superamento dei vecchi modelli di rappresentazione della realtà.
Le immagini del pensiero, le immagini determinanti del moderno, si aggregano in costellazioni, ma si trasformano solo superando la metafora e diventando “figure”.
Nella “figura” i frammenti non si risolvono in una mirabile conciliazione superiore. Essi rimangono frammenti, segni, parzialità che cercano delle connessioni anziché respingersi a vicenda o risolversi e poi svanire.
Ed è qui che il vecchio “io conservativo”, l’io dell’intelligenza abituale, come la chiama Proust, cede il suo potere ed emerge il soggetto complesso e plurale.
Nell’intrigo dei frammenti, che abitano questo “mondo di mezzo”, la nascita di figure ci appare come quella mossa del pensiero in grado di comprendere la differenza in un’unica unità tensionale.
Solo la figura, come scriverà Musil, ha la possibilità di rimanere indecisa fra due mondi rendendo visibile la differenza ed offrendola all’esperienza del senso e del pathos.

It is possible to see in this the need for overcoming old models for representing reality.
Images of thought, the images determined by modernity, cluster together in constellations, but they are transformed only by going beyond metaphors to become “figures”.
In “figures” fragments are not resolved into some wonderful superior reconciliation. They remain fragments, signs, pieces that search for connections rather than mutually repelling each other or being resolved only then to disappear.
And it is here that the old “conservative self”, the self of habitual intelligence as Proust called it, surrenders its power so that the complex and plural subject can emerge.
In the fragmented puzzle, in this “middle world”, the birth of figures seems to us similar to that action of thought which understands differences as a single tense unity.
As Musil was to write, only the figure has the possibility to remain undecided between two worlds by making this difference visible and by offering it up to the experience of meaning and pathos.
The figure is the formation of thoughts different to those of classical philosophy, thoughts that run through “images” and concepts and that retain the two “half truths” of modernity: conceptual abstraction and what has become defined as myth, analogy, and image.