LE FIGURE DEL PAESAGGIO
testo di Michele Manzini
1.
Inizialmente, prima ancora che la contesa fosse formalmente dichiarata, due saperi e due linguaggi si trovarono a confronto nel loro rapporto reciproco ed esclusivo con la verità: il sapere tragico, e dunque il linguaggio del mito e del racconto ed il sapere filosofico.
Siamo nel V secolo avanti Cristo ed il campo della disfida è la Grecia.
Con la tragedia si propone l’esperienza conoscitiva del dissidio, del perturbante, della precarietà e dell’impermanenza dell’esistenza.
Contro questo pensiero si mobilita un avversario poderoso, Platone ed il suo sapere filosofico, che riesce ad oscurare e poi scalzare la figura del suo antagonista.
La vittoria di Platone sarà la fondazione della filosofia e la negazione che vi possa essere conoscenza all’interno della finzione poetica e narrativa.
2.
Sarà Nietzche a riproporre in seguito i termini di quella battaglia affermando che bisognava risalire di millenni, allo scontro di Eraclito ed Empedocle contro il filosofo Platone, per ritrovare una forma di pensiero simile a quella che egli tentava di definire proponendo l’apparenza come la cosa stessa.
Platone ha vinto la disputa consegnando,però , al futuro i termini precisi dello scontro che si riproporrà con esiti incerti in più momenti ed in più luoghi della storia del pensiero.
Questo si ritrova, per esempio nella proposta di Vico di una “logica poetica” in grado di garantire la “verità della finzione”.
Ricompare nell’Empedocle hölderliniano permeato dal sentimento che nel rapporto dell’uomo con la natura non c’è soluzione o conciliazione.
Si riaccende, poi nel Castello, con un grande protagonista del nostro secolo: Kafka.
Kafka è appunto “l’uomo della contesa”, colui che conduce una battaglia contro la logica invisibile del Castello in nome delle ragioni della vita, di una verità non chiusa sull’immutabile, ma aperta al possibile.
3.
Uno degli aspetti della crisi della modernità oggi è costituito dalla fine della dialettica, che è letta da Bodei come la fine di un pensiero filosofico che era ancora in grado di articolare insieme polemos e logos. Da questa fine si sono generate le filosofie conciliative, come l’ermeneutica che risolve il conflitto nell’orizzonte dialogico, come il decostruzionismo che polverizza il conflitto, o come il pensiero debole che lo rende evanescente. Da questa fine sono emerse anche filosofie che hanno enfatizzato il conflitto, ma che hanno tolto ad esso ogni ragione, come il pensiero di Foucault.
In una parola: logos senza polemos, o polemos senza logos.
4.
La soppressione del conflitto e dell’alterità abbassa l’orizzonte del futuro e dell’attesa.
Il futuro si presenta allora non come enigma ma come l’immutabile che ci riconsegna al presente.
L’uomo di oggi è l’uomo che vive soltanto il presente.
5.
So che si possono costruire ugualmente case, luoghi, ricettacoli; che si può progettare un paesaggio. Ma in tutti quei luoghi dove l’orizzonte è analogo a quello delle cose inerti non si può avere altra passione se non quella del possesso o di una visione conciliante.
Qui regna il “mostro delicato” della noia, di quell’apatheia sconfinata che posso chiamare malinconia. Qui le ali dell’angelo di Dürer sono chiuse. Egli non potrà riprendere il volo, perché se è vero che l’essere svincolato dalle cose è leggerezza, è anche vero che questa leggerezza è letteralmente insostenibile.
Il gesto di una mano rappreso per sempre nella lama di luce in un interno di Vermeer, là dove nulla può più succedere o il lutto eterno di Amleto che si rifiuta di elaborare la morte del padre in una prospettiva positiva negano ogni possibilità di movimento ad un pensiero che prenda forma attraverso un’infinità di forme tra loro anche dissonanti.
6.
Il piacere dell’immagine è un passaggio importante nell’esperienza della realtà ma la sua parzialità può essere superata all’interno della dimensione conflittuale di una figura.
La figura è l’andamento stesso di un “altro pensiero”, rispetto a quello della filosofia classica, di un pensiero che transita attraverso le “immagini” letterarie e i concetti e che tiene insieme le due “mezze verità”: la massima astrazione del concetto e la grande forza di ciò che è mito, sragione, analogia ed immagine.
La figura come dice Musil abita tra questi due mondi.
7.
Io realizzo figure.
La figura è un tentativo di forma che contrappongo al fascino delle immagini le quali seppur cariche di verità luccicano e poi svaniscono senza trasformarsi in un sapere.
Le mie figure contengono in sé polemos, nel senso che assumono in sé l’instabilità, il conflitto, l’alterità senza dissolverla, senza risolverla.
Questo logos avanza carico di tensioni non risolte. Il suo è un orizzonte popolato di molte, di infinite forme possibili, aperto, come aperto era il destino dell’eroe tragico di fronte alle “molte forme che assume il divino” che sono la terribile e stupenda ricchezza che si dispiega davanti agli uomini della modernità.
Verona, 2008